“Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione” (Platone).
Il gioco non è retaggio dei soli bambini. Anzi. Il suo potere euristico è enorme se si considera che proprio giocando si può osservare la modalità interattiva dell’altro e del suo modo di coniugare la strategia all’intuizione.

Giovedì 7 ottobre, per la nostra uscita di gruppo, abbiamo scelto di sperimentare la cooperazione attraverso una modalità di gioco in cui si vince e si perde tutti insieme, cosa poco frequente nei giochi occidentali (dove spesso si vince quando l’altro perde).
L’escape room (“fuga dalla stanza”) è un gioco, ormai in voga da qualche anno anche in Italia, in cui l’obiettivo è quello di riuscire ad evadere da una stanza entro un tempo massimo di 60 minuti, risolvendo individualmente e in gruppo, enigmi di vario genere e difficoltà. Solo i migliori ce la fanno! La percentuale di successo è volutamente bassa per rendere le cose più interessanti.

L’accento è posto sulla sinergia, sul confronto, sulla comunicazione, che si fa necessariamente sempre più aperta, e sul distribuirsi dei ruoli al fine di realizzare una vera e propria attività di squadra.
Il gioco ha quindi messo in evidenza le diverse modalità di interazione, i meccanismi e i legami aiutando i ragazzi a conoscersi meglio e a scoprire il proprio e l’altrui ruolo.
C’è chi si è riconosciuto come leader, chi come il più riflessivo, chi come il più pratico e chi come il più insicuro e impacciato. Ognuno di loro, però, è stato indispensabile e attento a far sentire l’altro utile e parte del gruppo.
Il coinvolgimento nella storia della “stanza delle torture” è stato tale da farci dimenticare che si trattasse solo di un gioco per cui una volta trovata la chiave finale, la soddisfazione era mista alla delusione per aver già terminato l’esperienza.Che dire.. alla prossima escape room!

#insiemeèpiùbello#

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